Alle ore 15.00 riprendono i lavori con gli interventi dei delegati. Subito dopo la tavola rotonda sul tema "La conoscenza per un nuovo modello di sviluppo".
Per Adriano Zonta la scuola, l’università, il lavoro sono in continua emergenza. Il sindacato deve rivendicare con forza il diritto allo studio, al lavoro, alla conoscenza. Tre nodi fondamentali: autonomia scolastica, riduzione del MOF, dimensionamento scolastico. Parliamo di ottimizzazione o solo di tagli. Sono da eliminare gli sprechi non il lavoro, come affermava Nelson Mandela “l’istruzione è la strada più potente per cambiare il mondo”.
Il sindacato, dice Paolo Fabi, deve acquisire un nuovo ruolo nella fase in cui stiamo vivendo di post-democrazia cercando di immaginare, provando a difenderci, le trasformazioni che avverranno nel campo della conoscenza, d'altronde bisognerebbe rivalutare il rapporto tra il sindacato e l’informazione. Non è possibile immaginare un’informazione che privilegi solo alcune notizie snobbandone altre. Il sindacato della conoscenza non può sottrarsi dal mondo dell’informazione. A maggior ragione: ora e sempre conoscenza.
Oggi esistono processi che mercificano l’accesso alla conoscenza, esordisce Roberto Galbanelli (Unione degli Studenti). Ciò rappresenta anche una fetta di mercato che si vuole aprire ai privati. L’UDS ha lottato contro il disegno di legge Aprea e giornate come quelle del 14 novembre 2013 e quella ultima di Bruxelles hanno visto i sindacati e i movimenti sociali scendere in piazza e aprire un solco nel contrasto alle politiche di austerity, sia da destra che da sinistra. La FLC deve continuare ad essere inclusiva e progressiva nelle scuole: accesso alla formazione, welfare studentesco, legge sul diritto al studio, reddito di cittadinanza e politiche correlare ne devono rappresentare le priorità. Anche la valutazione non è più uno strumento di miglioramento dello status quo ma un dispositivo di controllo. I test invalsi hanno svilito il ruolo dell’insegnante e ci mobilitiamo in continuazione durante le date di somministrazione dei test sperando che nei prossimi mesi si condividano in merito le proposte dei diversi territori.
In questi anni, dice Cinzia Angrilli, segretaria generale FLC CGIL Abruzzo, la CGIL ha effettuate tante iniziative nei diversi territori. Assemblea, confronto, approfondimento, proposta, progetto, sono termini che contraddistinguono la FLC che interviene in tutti gli episodi delle singole scuole. Siamo portatori di progetti e dobbiamo avvicinarci e rispondere alle esigenze dei singoli. Confronto e approfondimento di merito tutti i giorni, sul campo; lottare per la scuola per attuare quella continuità della nostra azione sindacale per bloccare la contro-riforma, il massacro i cui risultati si vedono oggi più che mai soprattutto quelli della Gelmini. La FLC deve trovare le forze, i metodi per contrastare il lavoro precario e soprattutto quello nero.
Il valore della competenza, oggi, della nostra società, ha poca rilevanza, non solo nell’ambito lavorativo ma anche sociale. Non si è capaci di competere con le competenze ma il punto di riferimento principale è esclusivamente il costo del lavoro. È il pensiero di Augusto Palombini che si pone il problema del pragmatismo sindacale che deve contrastare anche la flessibilità lavorativa che ha comportato anche una riduzione del lavoro e una frattura tra il lavoro autonomo e non. La strada del cambiamento è ardua ma è un percorso che passa attraverso il sindacato per la crescita della società per produrre più laureati, più dottori di ricerca; un sindacato che sappia imporsi, come interlocutore, anche sul piano dei modelli di sviluppo.
In Sardegna, dove Franco Dore vive, alcuni dirigenti per sopperire alla mancanza dei fondi del MOF, hanno avuto la stravagante idea di utilizzare i contributi volontari delle famiglie per pagare i dipendenti statali. Ciò, oltre ad essere illegittimo ed illegale, deve comportare un’azione sindacale precisa. L’azione di un sindacato che deve obbligare il MIUR a pronunciarsi sul tema; un sindacato nazionale che si faccia carico di tutti i problemi delle diverse regioni.
Giovanni Lelli, Commissario Enea, afferma che è l’innovazione a determinare la competitività e che permette di uscire dalla crisi con la competenza. Se il nostro paese deve sfornare “conoscenza” è importante che qualcosa cambi. Ai finanziamenti non si dice mai “no”, ma quello che manca è l’attenzione nei riguardi del mondo della conoscenza e della ricerca. Molto si potrebbe fare. La ricerca deve e deve essere al servizio dell’economia. Anche ai congressi della CGIL constato che la passione, l’approfondimento e l’accuratezza del sindacato cono elementi che purtroppo mancano nella politica italiana degli ultimi anni.
Per Pino Assalone il congresso è un momento di bilancio di ciò che si è fatto e di ciò che si è potuto fare. La cosa fondamentale del nostro documento è che abbiamo posto le basi per cambiare la società, ma questa non è certo la preoccupazione politica. La disgregazione e il conflitto sociale sono nodi fondamentali di interesse sindacale. Se il mondo del lavoro non ha più una rappresentanza politica, quello che si chiede è un forte cambiamento. La CGIL deve sfidare il governo per cambiare il paese. Questa è la sfida che dobbiamo mettere in campo. Una sfida che sappia dare rilancio alla conoscenza al sistema Italia, una sfida che sappia mettere la dovuta attenzione al meridione perché non si può negare che la scuola è diversa nelle diverse province. Argomenti quali il PIL, mercato, spread, sono all’ordine del giorno ma è il capitale culturale quello che muove le spinte e rende diverso il soggetto. Come affermava Don Milani “chi rende l’uomo libero e diverso non è certo il potere economico”. La sfida che si propone alla CGIL è quella di fermare questa deriva sociale, di diritti che non si risparmiano, di lavoratori che non possono essere lasciati soli, di riaffermare e ricreare strategie e modelli sindacale. Questa è la nostra vera sfida: riorganizzare la frammentazione sociale, evitando la frammentazione della rappresentanza nell’unità sindacale.
Sempre più spesso assistiamo ad una lotta tra poveri, disposti e /o costretti a rinunciare ai propri diritti. Lo afferma Markus Dapunt. Per il sindacato è sempre più difficile coinvolgere questi soggetti, di chi ha un incarico fisso e di chi non l’avrà mai. In questo panorama di forte disgregazione i nazionalismi crescono. In Alto Adige e Sud Tirol si spinge verso la provincializzazione dell’istruzione, mentre poi è ostacolata l’autonomia che chiedono le scuole. Anche il sindacato deve occuparsi di queste problematiche, ricordando che sia l’Italia che l’Europa crescono sulla diversità e con la diversità.
Per Luigi Canalis due questioni sono fondamentali: la presunta risoluzione della crisi economica e la difficile fase politica che stiamo vivendo. Assistiamo tutti i giorni a proclami e notizie che bisogna salvare le imprese con un piano economico, senza controllo, senza regole, senza limiti. Sempre più danaro arriva nelle tasche dei privati.
Una patrimoniale straordinaria, lotta all’evasione sono ricette fondamentali che dovranno essere presenti nel documento finale che questo congresso dovrà approvare, ricordando che una conditio sine qua non è la difesa della Costituzione, baluardo della democrazia. Bisogna rilanciare la nostra presenza nelle piazze coraggiosamente, riproponendo quella ferma e dura opposizione, punto di riferimento sicuro della scuola. Bisogna rilanciare quella “vision”, essere visionari, per elaborare un progetto di scuola nuova e diversa, affermare l’alterità del nostro modo d’intendere e rappresentare la parte sana del paese.
La precarietà rappresenta un elemento onnipresente del lavoro dei dipendenti del CNR da cui proviene David Lognoli. Di seguito la sintesi dell'intervento che ci ha inviato.
Care compagne, cari compagni, la rassegnazione pervade la maggioranza dei lavoratori precari della ricerca, rassegnazione per la svalutazione del proprio lavoro, della qualità del proprio lavoro, l’assenza di prospettive. Una condizione di lavoro in cui capita anche che il diretto sfruttatore sia un dipendente strutturato, talvolta un delegato del nostro sindacato. Una condizione antropologica alla base sia della difficoltà nel costruire lotte dei precari sia della dequalificazione del lavoro, della produttività e della specificità con cui l’Italia sprofonda nella crisi.
Affrontare singolarmente i diversi temi spesso ci pone di fronte a un interlocutore che non c’è, a un governo e pure ad una parte di opposizione ormai che fanno da soli, avversi ai copri intermedi, ossia alla società. Abbiamo la necessità di comporre tutte le nostre giuste lotte (contro modelli autoritari di governance, pratica della valutazione come sostegno ideologico ai tagli, casualità del reclutamento, blocco del turn over, sterilizzazione della contrattazione) in una prospettiva unitaria, come proposto nella relazione, per offrire un’alternativa complessiva opposta alle politiche che hanno generato la crisi.
Alcune questioni di rilevanza nazionale, afferma Claudio Innamorato, hanno comportato ricadute a volte anche catastrofiche sulla realtà delle nostre scuole. In primis il transito del personale ATA dagli Enti locali allo Stato e poi l’ultima eredità delle cooperative: situazioni disperate, difficili, ingovernabili.
La FLC ha bisogno di ripensarsi, portando avanti anche idee difficili, di scontro con poteri politici anche radicalizzati nella nostra organizzazione.
La crisi ha posto la conoscenza all’ultimo posto. Lo dice Caterina Spina e chiede di dare risposte ad alcune domande fondamentali: quale valore dare all’istruzione? quale valore dare al lavoro? quale valore dare alle forme di rappresentanza? Chi dovrà dare queste risposte, dovrà cambiare la marcia, chiedersi che sindacato vogliamo essere e come vogliamo essere. La crisi di fiducia e di rappresentanza ci chiede di fare i conti con noi stessi. La FLC accoglie la sfida di rinnovamento e di innovazione: non chiudersi in vecchie certezze che non hanno corrispondenze nella realtà; dobbiamo rinnovarci non perché nuovo sia meglio, ma bisogna crederci, facendo prevalere la forza delle idee.
I convitti nazionali, dice Stefania Lilliu, sono rappresentati da circa 2.000 educatori, personale della scuola pubblica. Oggi i convitti sono minacciati da un disegno di legge che trasforma i convitti nazionali in collegi, che propone di esternalizzare i servizi e privatizzare il rapporto di lavoro: il personale sarà individuato a chiamata diretta previa valutazione dei curricula da parte dei rettori. Si apre uno scenario pericoloso, in vista di una sperimentazione generale. Si chiede alla FLC uno sguardo lungimirante sulle azioni del Governo.
Dal congresso bisogna partire con una direzione diversa perché il modello di paese che viene proposto non ci appartiene. Lo chiede Natalino Giacomini. Se si chiude un ospedale c’è la rivoluzione, se chiude una scuola… O rivoluzioniamo la situazione dell’istruzione o questo paese non sarà in grado di guardare al futuro, arretrando verso tempi bui. La FLC c’è, ma deve esserci anche la CGIL, la confederazione per una battaglia comune.
Per Rosa Ruscitti è necessario riscattare la legalità con la conoscenza. Il luogo dove siamo ce lo ricorda ampiamente. Il CNR che nel 2013 ha compiuto 90 anni è il maggior ente pubblico di ricerca che negli ultimi 10 anni è stato sottoposto a continui tagli e riorganizzazioni. In questo modo non si può competere con gli altri paesi stranieri, con strumenti inadeguati, con personale precario. La proposta è quella di costruire un unico punto di governante, superando l’odierna frammentazione per costruire valori attraverso la conoscenza.
Siamo continuamente sottoposti ad una forte burocratizzazione del nostro sindacato, sottolinea Enzo Palumbo, Il sindacato deve saper rispondere non solo alle aspettative del lavoratori ma anche alle necessità di alunni e famiglie. Bisogna cercare di capire in che misura vogliamo far cambiare le cose, non possiamo fare soltanto burocrazia ma sindacato.
Tavola rotonda “La conoscenza per un nuovo modello di sviluppo”
Alle 17.15 ha inizio la tavola rotonda che ha per tema “La conoscenza per un nuovo modello di sviluppo”. Coordina Marco Esposito giornalista de Il Mattino di Napoli che, in apertura, manifesta grande soddisfazione per la scelta della FLC CGIL di tenere il proprio congresso in un luogo, come la Città della Scienza, emblematico dell'attuale situazione del paese. Ricorda di essere stato assessore del comune di Napoli per due anni. Il momento particolare del paese è ben descritto da una frase pronunciata dal premier Renzi nei giorni scorsi: ci sono territori che hanno dato di più e che quindi andranno premiati. Questa frase sta a significare che chi ha poco avrà in futuro ancora di meno. Cita l'esempio delle classifiche stilate lo scorso anno che hanno comportato che tutte le università del sud abbiano avuto un blocco del turnover lo scorso anno. Ricorda che la scelta di considerare solo la spesa storica in relazione ad asili nidi e istruzione penalizzerà pesantemente il sud. È evidente lo scambio tra efficienza e minore equità. Si tratta di una deriva inaccettabile.
Pietro Greco, giornalista scientifico, esordisce ricordando alcune frasi pronunciate da vari (ex)ministri: con la cultura non si mangia; in Italia ci sono troppi laureati. Si tratta di frasi aberranti che non tengono conto della realtà: il 27% dell'economia mondiale si basa sull'economia della conoscenza. L'Italia contribuisce, invece, per una percentuale molto più piccola. Ma, fatto ancora più grave, è la constatazione che nelle classi dirigenti non c'è alcuna consapevolezza dell'importanza degli investimento in tale settore.
Cita il rapporto del consigliere scientifico prima di Roosvelt e poi di Truman, Vannevar Bush, dal titolo "Scienza, la frontiera infinita". Molte delle cose scritte in quel documento sono di un'attualità sconvolgente. Il primo problema era come cambiare la specializzazione produttiva del paese. Bush affermava che il mercato da solo non fosse in grado di realizzare tale cambiamento. Per questo c'e' bisogno dell'intervento dello Stato. Inoltre Bush ricordava l'importanza dell'investimento nella ricerca scientifica e soprattutto nella ricerca di base. Occorre investire almeno l'1% del pil in ricerca di cui il 20% in ricerca di base. Altro elemento per lo sviluppo di un Paese è la domanda di alta tecnologia da parte dello Stato. E' necessaria l'esistenza di un universo di cervelli che sostenga questo sviluppo. Per questo l'università deve essere accessibile a tutti coloro che lo meritano e non solo a coloro che provengono da famiglie più abbienti. Occorre lavorare con i nostri paesi amici perché la ricerca non ha confini. La competizione non può che avvenire che per grandi aree continentali.
Ricorda come nei giorni scorsi è stato sottoscritto un manifesto della comunità scientifica che chiede una vera unità europea nel settore della conoscenza. Il sistema produttivo deve avere una forte richiesta di persone con formazione universitaria. Invece in Italia un basso livello di richiesta di personale con alta qualificazione e' accompagnata da un numero di laureati lontanissimo dagli obiettivi di Europa 2020.
Benedetto Vertecchi (docente di Scienze della Formazione all’Università di Roma 3) avvia l’intervento esponendo le sue perplessità sul dibattito main stream intorno all’educazione. Un dibattito spesso prigioniero delle mode, variamente declinate, delle “3 I (internet impresa inglese)” e schiacciato in una dinamica di breve periodo. In questo senso la prospettiva dell’economia della conoscenza rischia di essere un’illusione o peggio una trappola per imporre all’istruzione le esigenze economiche.
Senza negare le specificità nazionali, le carenze del sistema educativo italiano e i bassi livelli di istruzione del nostro paese si inscrivono in una tendenza internazionale. Fanno eccezione quei paesi, in primis quelli del nord Europa, in cui l’investimento sulla conoscenza viene da lontano e non è stato orientato da criteri utilitaristici. Questo in sintesi il monito di Vertecchi: liberare il ragionamento sull’educazione dalle logiche economicistiche ed evadere dall’asfittica prospettiva del breve periodo. L’educazione, al contrario, ha bisogno di una progettazione di lungo termine capace di rispondere alle esigenze che affioreranno nei decenni a venire. Così come deve essere capace di intervenire laddove si decide il futuro delle persone, cioè nell’acquisizione delle competenze e delle abilità di base nei primi anni di vita. Analogamente occorre contrastare la tendenza in atto nei paesi industrializzati ad una divaricazione dei sistemi di istruzione tra percorsi di fascia alta e di fascia bassa: non solo sul piano etico e politico, ma sul fronte dell’efficienza.
Prende subito dopo la parola Massimo Marrelli, Rettore dell’università Federico II di Napoli che fa notare che se si divide il numero degli articoli scientifici pubblicati per il numero dei ricercatori italiani censiti dall’OCSE, il nostro Paese si attesta al secondo posto, dopo il Cile! Se le cose stessero effettivamente così si sarebbe in presenza di un problema ancor più grave di un semplice “sommerso”. Il Rettore ritiene che naturalmente è fondamentale investire in ricerca - è quello che, d’altronde, fanno o dovrebbero fare tutti i paesi. Ciò che invece può fare la differenza, ciò che può contribuire alla costruzione di un nuovo modello di sviluppo è “investire nell’organizzazione della ricerca”, nell’innovazione. La cosa importante è che inizi sin dalle scuole elementari un’educazione che stimoli la curiosità, la creatività, che sono alla base della ricerca.
Segue Maria Cristina Pedicchio, presidente dell'OGS (Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale), che presenta alcune slide da cui emergono una serie di dati drammatici. Innanzitutto l’elevatissimo numero di ricercatori che lasciano l'Italia. Al tempo stesso dai dati ERC emerge che i ricercatori italiani sono tra coloro che ottengono i maggiori riconoscimenti a livello internazionale. Tuttavia gran parte di quei ricercatori sono andati via. Ovviamente gli altri paesi ringraziano! Solo chi riuscirà a formare, attrarre, trattenere risorse umane altamente formate supererà la crisi. Per questo serve un piano straordinario di reclutamento da attivare subito, bisogna superare il limite di turnover e l'attuale pianta organica. Occorre applicare la Carta Europea dei Ricercatori. Riguardo ai Fondi europei diamo di più di quello che riceviamo ( un euro dato per sessanta centesimi ricevuti). Cosa fare: interazione tra settori pubblici e privati, tra discipline, tra ricerca di base/applicata e mercato, tra ricerca/innovazione/formazione. Altro aspetto è realizzare la massima integrazione tra le risorse, ora parcellizzate in mille rivoli. Al tempo stesso occorre usare meglio i soldi che ci sono, massima trasparenza semplificazione delle procedure ma anche rispetto dei tempi e regole da parte di chi eroga le risorse.
Marco Esposito chiosa l’intervento di Maria Cristina Pedicchio sulla fuga dei cervelli citando la frase di un giovane ricercatore “La nostra è una generazione col biglietto aereo puntato alla tempia” a testimonianza della sensazione di partenza “senza ritorno” che pervade chi cerca altrove le opportunità di lavoro che non trova in Italia.
Prosegue Luigi Nicolais, Presidente del CNR, esordendo con un riconoscimento ai ricercatori italiani, ricordando il coraggio di chi resta nel nostro paese accettando retribuzioni molto inferiori a quelle dei colleghi europei. Prosegue interloquendo con Benedetto Vertecchi rispetto al rapporto tra economia e conoscenza.
L’Italia si trova, secondo Nicolais, in una fase di re-industrializzazione, per certi versi simile a quella del dopoguerra. Se allora il processo si incentrava sulla manodopera, adesso si incardina sulla relazione tra chi produce conoscenza e chi produce beni. E’ la sfida imposta dal mercato globale: riempire di contenuti di conoscenza i beni prodotti. Si tratta di investire sull’innovazione tecnologica, organizzativa, di processo. E anche di saper innestare l’innovazione sulla tradizione artigianale come dimostrano molte eccellenze italiane sartoriali e agroalimentari per fare alcuni esempi. In questo senso un paese che non mette l’educazione e la ricerca e al centro delle sue politiche economiche e di sviluppo si tarpa le ali. Nicolais, nel sottolineare l’esigenza di incidere sulle politiche sulla ricerca del Governo, enuclea quelle che ritiene le priorità per il comparto: un piano straordinario di assunzione dei ricercatori; una semplificazione del sistema ricerca, afflitto da regole “borboniche”; l’attivazione di un’Agenzia per la Ricerca al fine di rendere più snello ed efficiente il governo del sistema.
Conclude sottolineando il senso di una riforma del sistema ricerca: non servono interventi incrementali, ma un disegno di radicale trasformazione.
Chiudere gli interventi della tavola rotonda tocca a Domenico Pantaleo che concorda con le considerazioni fatte durante gli altri interventi. Il segretario generale sostiene che la crisi con cui abbiamo a che fare, è una crisi di sistema. Per affrontarla, per uscirne, abbiamo bisogno di un pensiero strategico, è necessario che l’Europa metta in campo delle politiche alte soprattutto su temi importanti come il welfare, l’istruzione, la salute. Il nostro paese ha ritardi strutturali notevoli, preesistenti alla crisi, manca di un sistema industriale e riesce solo a trovare come “soluzione” di tutti i problemi l’abbassamento dei salari e l’indebolimento dei diritti. Sono necessarie politiche di sistema industriali e della conoscenza. Non si può finalizzare la conoscenza all’impresa, perché questo significa far sparire ciò che sono i saperi umanistici; la separazione tra il sapere dal saper fare. Il paese ha bisogno di un modello di sviluppo che tenga conto dell’ambiente, dei beni comuni, della qualità della vita. Questo non serve solo all’economia ma alla democrazia.